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Medicina scientifica e medicine complementari La decisione di accettare le medicine naturali a livello ministeriale ha scatenato un mare di polemiche dai cosiddetti protettori della scientificità.
Le nuove norme impongono che solo i medici, poiché addetti alla salute, possano utilizzare per diagnosi e terapia queste medicine. Solo i medici, infatti, sanno quando utilizzare i farmaci chimici e quando avvalersi dei rimedi complementari. I pazienti hanno così una garanzia di serietà e non dipendono da personaggi che s'improvvisano “guaritori”.
Uno dei punti su cui si basa la polemica è che queste medicine non sono scientifiche.
Quella che è spacciata come scienza non è altro che la ricerca effettuata in “doppio cieco”.
Si prendono due gruppi di pazienti affetti dalla stessa patologia. Ad un gruppo si somministra un farmaco chimico e all'altro un placebo (sostanza senza effetti medicamentosi). Si chiama doppio cieco perché né il medico né i pazienti sanno quale dei due gruppi ha ricevuto il farmaco e quale il placebo. Alla fine della sperimentazione si osserva il miglioramento tra i due gruppi. Si aprono poi le buste A e B che rivelano quale gruppo ha ricevuto il farmaco. Il farmaco è valido se il gruppo che ha avuto più efficacia nella cura corrisponde a quello del rimedio; se corrisponde al placebo, il medicinale è scartato. Questo procedimento, a mio parere, non è scientifico, perché c'è sempre un'implicazione di speranza nel soggetto malato che può falsare la sperimentazione. È anche deontologicamente scorretto perché si privano i pazienti di una cura efficace. Non dimentichiamo che gli sperimentatori sono pagati dalle Case Farmaceutiche che si aspettano una risposta positiva. Non trascuriamo nemmeno che, anche se un farmaco funziona, gli effetti collaterali si scoprono con l'uso continuo. Tutti sappiamo che i vantaggi terapeutici di una medicina chimica sono due o tre, ma gli effetti collaterali sono centinaia. Questa sarebbe la cosiddetta medicina scientifica?
I rimedi omeopatici derivano dal regno vegetale, minerale o animale. Erano presi da persone sane che annotavano i sintomi che sopravvenivano nel tempo, facendone poi una scala gerarchica in base alla frequenza e modalità di comparsa. Per esempio dieci soggetti prendevano una sostanza, senza sapere cos'era. Annotavano i sintomi e alla fine dell'indagine, che durava di solito molti mesi, il capo degli sperimentatori assegnava dei punteggi. Otto su dieci avevano avuto cefalea (sintomo) dopo pranzo (modalità del sintomo): gerarchia tre. Cinque su dieci bruciore di stomaco la mattina appena alzati: gerarchia due. Tre su dieci male all'articolazione del ginocchio salendo le scale: gerarchia uno, la più bassa. Si raccoglievano tutti i sintomi e le modalità e si compilava il “foglietto d'istruzioni” del farmaco.
Quando arrivava un malato con sintomi e modalità simili, si prescriveva la sostanza che li aveva procurati sull'uomo sano, ma omeopatizzata, cioè diluita e dinamizzata (agitata con forti succussioni), in base alla legge: “Similia similibus curentur” (i simili si curino con i simili).
Alcune sostanze hanno sino a 4000 sintomi. Logicamente un paziente non doveva averli tutti, ma solo alcuni per la similitudine col farmaco omeopatico.
Questo, secondo me, è un metodo più scientifico perché studiato sull'uomo sano. È più deontologicamente corretto poiché non privava nessuno della giusta terapia. Non c'erano nemmeno interessi economici da soddisfare, perché allora (1810), era il medico stesso che preparava le sostanze omeopatiche manualmente e le consegnava direttamente al paziente.
I farmaci scientifici della medicina allopatica sono indubbiamente efficaci per le patologie acutissime, quali shock anafilattico, asma con grave dispnea, angina pectoris, infarto, aritmie cardiache, ipertensione maligna, ictus, tromboembolie, traumi da incidenti. Possono salvare una vita e questo è un bene per tutti, ma proprio per l'eccesso degli effetti collaterali dovrebbero essere usati per un periodo limitato.
Le medicine che chiameremo “complementari” o “naturali”, (non mi piace il termine “alternative” e neanche “non convenzionali”), perché non devono sostituire, ma affiancare la medicina classica, sono invece importanti per le patologie croniche.
I pazienti si rivolgono alle cure complementari quando non riescono a trovare nella medicina scientifica una soluzione per i loro problemi. Questo pone fine ad un altro punto polemico, che vuole che il paziente, preferendo i rimedi naturali, può aggravare la sua malattia. Gli anni passati a imbottirsi di medicine chimiche, se non hanno portato ad un peggioramento, non lo hanno nemmeno guarito nonostante ne abbia già ingerito in quantità industriali.
Una persona non dovrebbe usare tutta la vita un farmaco per l'ipertensione, l'ulcera, l'ansia, la depressione, l'insonnia, il diabete, l'anemia, l'epilessia, il mal di testa, ecc., quando è sufficiente modificare l'alimentazione, prendere qualche prodotto omeopatico, sottoporci ad alcune sedute d'agopuntura per riacquistare la salute.
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